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Mi sa che è questo il mio limite: mi mancano le conclusioni, nel senso che ho l’impressione che niente finisca mai veramente. De SilvaIo vorrei, vorrei davvero che i dispiaceri scaduti, le persone sbagliate, le risposte che non ho dato, i debiti contratti senza bisogno, le piccole meschinità che mi hanno avvelenato il fegato, tutte le cose a cui ancora penso, le storie d’amore soprattutto, sparissero dalla mia testa e non si facessero più vedere, ma sono pieno di strascichi, di fantasmi disoccupati che vengono spesso a trovarmi. Colpa della memoria, che congela e scongela in automatico rallentando la digestione della vita e ti fa sentire solissimo nei momenti più impensati.

Il fatto è che la realtà smozzica. Si esprime per frasi incomplete. E le traduzioni che circolano sono fatte coi piedi. Piene di sviste, refusi, imprecisioni, intere righe mancanti. Senza un minimo di professionalità, e soprattutto di buona fede.

È appunto così che sono abituato a spiegare le cose che mi capitano. Faccio traduzioni imperfette per tirare a campare finché, una bella mattina, la realtà non la incontro per strada, disinvolta e discreta, mai volgare, e rimango impalato a guardarla mentre mi passa davanti e si allantana senza degnarmi di un’occhiata.

Mi debilitano, i faccia a faccia con me stesso. Specie quando ha ragione quell’altro.

Ecco come sono fatto io. Un vero jazzista della complicazione. Datemi una situazione già compromessa, e vedete che assoli che faccio.

Diego De Silva, Non avevo capito niente